“Little Disasters”: la serie TV che smonta il racconto rassicurante della maternità

“Little Disasters” è una serie che ha il coraggio di dire ciò che molte donne pensano ma raramente dicono ad alta voce. Si insinua con passo silenzioso nelle vite delle sue protagoniste e, una volta entrata, fa fatica a uscire. Perché non racconta grandi tragedie spettacolari, ma quei piccoli disastri quotidiani che, soprattutto per le donne, possono cambiare tutto: una scelta sbagliata, una parola non detta, uno sguardo giudicante nel momento più fragile.

Maternità, amicizia, colpa e giudizio vengono sviscerati in questo thriller con Diane Kruger, scardinando il mito della maternità come esperienza naturalmente felice. Diventare madri non significa automaticamente sentirsi complete, sicure o all’altezza. Al contrario, la maternità è rappresentata come un territorio emotivo complesso, attraversato da ansia, paura di fallire, senso di colpa e una solitudine che spesso non si osa confessare.

La serie TV mette in scena una verità scomoda: tra donne non sempre siamo solidali come vorremmo, soprattutto quando entrano in gioco i figli. Il cuore della narrazione è il rapporto tra un gruppo di amiche, donne molto diverse tra loro per stile di vita, classe sociale, personalità e approccio alla maternità. Ed è proprio qui che il racconto si fa più interessante. L’amicizia femminile, spesso idealizzata come rifugio sicuro, viene mostrata nella sua ambivalenza: può essere sostegno profondo, ma anche confronto costante, competizione silenziosa, giudizio mascherato da consiglio.

Uno degli aspetti più riusciti è lo sguardo sul giudizio sociale che grava sulle madri. Ogni scelta – allattare o no, lavorare o fermarsi, chiedere aiuto o farcela da sole – diventa terreno di valutazione. Le sei puntate mostrano quanto questo sguardo esterno, spesso interiorizzato, possa diventare violento: le protagoniste, in particolare Jess e Liz, non sono solo osservate dagli altri, ma finiscono per giudicarsi a vicenda e, soprattutto, se stesse.

Emotivamente, la visione non è mai semplice né consolatoria: “Little Disasters” costringe a fermarsi e a porsi le domande più scomode. Quanto siamo davvero libere nelle nostre scelte? Quanto il privilegio – economico, culturale, familiare – incide sulla possibilità di essere considerate “buone madri”? La maternità, invece di livellare le differenze, finisce per amplificarle, e la serie è molto onesta nel mostrarlo.

C’è poi un tema più silenzioso ma potentissimo: la vulnerabilità femminile. Le donne della serie non crollano per debolezza, ma per la pressione costante a dover essere tutto insieme: madri impeccabili, amiche presenti, compagne affidabili, professioniste competenti. Quando qualcosa si spezza, il fallimento non è mai solo individuale, ma il riflesso di un sistema che chiede troppo e restituisce poco.

“Little Disasters”, basato sul bestseller di Sarah Vaughan (autrice di Anatomia di uno scandalo), non cerca di rassicurare, ma di riconoscere. Riconoscere la complessità dell’esperienza femminile, le sue contraddizioni, le sue zone d’ombra. Ed è proprio questa onestà, rara e necessaria, a renderla una visione che resta addosso, soprattutto a chi sa quanto sottile possa essere il confine tra equilibrio e crollo.

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Krizia Ribotta Giraudo

Giornalista, ufficio stampa e digital marketer con la passione dei viaggi, per vivere avventure degne di una serie su Netflix. Possibilmente con l'outfit di Olivia Pope.
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